Il mistero della nascita del Figlio di Dio, Gesù, come vero uomo ci invita a riflettere sull’importanza che Dio ha dato anche per suo Figlio allo sviluppo della personalità. Gesù ha dovuto apprendere sia ad essere uomo ma anche a essere figlio di Dio. Ha dovuto cercare gradualmente la sua identità e la sua missione nel mondo. Ha dovuto quindi capire pian piano chi fosse veramente al di là di ciò che poteva dire la gente intorno a lui.
Questa domanda ha dovuto guidare il suo cammino anche da adulto, tanto che un giorno ha sentito di dover chiedere ai suoi nuovi amici che stavano condividendo con lui il suo percorso: “La gente, chi dice che io sia?” e “Ma voi, chi dite che io sia?” (Lc 9,18-20). Questa domanda non fu solo un cercare di vedere se Pietro e i suoi compagni avevano realmente scoperto la verità su di lui, ma anche un mostrare a noi che anche lui, il Figlio di Dio, ha avuto bisogno della conferma su di sé da parte dei suoi amici e in particolare di noi che leggiamo il Vangelo oggi.
La risposta di Pietro riguarda la missione di Gesù come Messia, il suo ruolo, anche se su questo tema ha ancora una sua idea a cui Gesù darà una sua interpretazione personale (Cfr Lc 9, 21-22). L’identità di Gesù ha dunque a che fare con la sua missione, il suo compito. Non la esaurisce ma è una indicazione importante. Conoscere noi stessi è quindi conoscere anche la nostra missione, ciò che siamo e che dobbiamo diventare con la nostra personalità.
Per questo il Vangelo non ci chiede semplicemente di rispondere insieme a Pietro alla domanda di Gesù, ma anche di imparare da lui a farcela pure noi.
La prima cosa che viene in evidenza è che a questa domanda non possiamo rispondere da soli. Abbiamo bisogno dell’aiuto degli altri. Gesù non ha fatto questa domanda né ai suoi cugini, né ai suoi amici, ma a coloro che aveva scelto per stare con lui nella fase decisiva della sua vita: sono quelli che condividono con lui i giorni più decisivi della sua vita.
Cosa dobbiamo imparare dunque a vedere in noi e negli altri? Ciò che siamo come persona e nella missione che Gesù ci affida. In questo ci possono essere di grande aiuto proprio quelli che fanno il nostro stesso cammino.
Un aiuto per comprendere meglio questo compito ci viene dalla natura e in particolare dagli alberi. Essi hanno una radice ben affondata nel terreno, si lanciano verso il cielo alla ricerca della luce e nel vivere ci offrono i loro frutti e l’ossigeno per respirare. Hanno una loro identità e ognuno ha frutti diversi o simili a quelli degli altri. Non vive solo per se stesso ma anche per noi.
Anche nel primo salmo della bibbia l’uomo che segue la legge di Dio è paragonato ad un albero. “È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo (Sal 1,3)
Se prendiamo questo esempio ci accorgiamo che anche noi abbiamo bisogno di un terreno dove affondare le nostre radici: un luogo cioè da dove prendere la linfa vitale del nostro essere (la nostra umanità – Carattere, debolezze e pregi – La famiglia, gli amici, la lettura, le esperienze che ci hanno segnato). Inoltre abbiamo bisogno anche noi di slanciarci verso l’alto alla ricerca della luce. Non basta ciò che riceviamo dal nostro terreno, ma abbiamo bisogno della luce che viene dall’alto (Il nostro rapporto con Dio). Infine anche noi abbiamo bisogno di scoprire per chi e per cosa viviamo.
Quanto più riusciamo a ricavare la linfa vitale e quanta più luce riusciamo a prendere tanto più potremo crescere secondo la nostra identità. Al tempo stesso occorre guardarci e ascoltarci dentro e intorno per capire lo scopo e il compito della nostra esistenza.
p. Salvatore Franco omi